ASSEMBLEA TRIENNALE
Bologna 17 dicembre 2002
Torre Legacoop – Sala B – V.le A. Moro, 16 Bologna
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RELAZIONE
Parte generale/Pulizie/Ristorazione: Massimo Baviera
Altre comunicazioni di comparto:
Alberto Armuzzi – Paola Menetti – Giorgio Prampolini
Nel 2001 le cooperative dei servizi in Emilia Romagna sono 625 (+188 sul 1997); il loro fatturato è di 2.6 miliardi di euro (+36.5 %); 68.000 gli occupati (+68.5 %).
Sull ‘ insieme di Legacoop regionale il settore passa nei quattro anni dal 28 % al 34 % sul numero di coop., stabile il rapporto percentuale sul fatturato, dal 53 % al 59 % sugli occupati.
Anche in termini di redditività, avvalendosi dei dati forniti da Coopfond sul 3% di utile versato, lo stesso aumenta del 55.7%, arrivando nel 2001 a oltre 2 milioni di euro: sono poi 18 gli interventi di promozione realizzati dal fondo nel settore, per impieghi di oltre 9 milioni di euro su un totale complessivo, compreso il sostegno allo sviluppo, di quasi 12: 1.368 unità l‘incremento occupazionale conseguente, a dimostrazione della grande rilevanza sociale che ha la mutualità esterna di legge.
Questi dati non per ostentare né per pretendere chissà cosa, ma solo per riconoscere il dovuto merito a tutti gli operatori, che certo hanno anche goduto di espansioni strutturali dei segmenti di mercato, ma ci avranno pur messo delle capacità loro; per evidenziare inoltre oggettivamente, anche in termini relativi, quanto la specificità del terziario pesi e quale debba quindi essere l‘attenzione particolare nei suoi confronti al nostro interno e dall‘esterno politico/istituzionale: si consideri che nel 2001 il valore aggiunto prodotto dal terziario era ben il 61.7% del totale regionale, gli occupati il 63%, con tutto ciò che significa in termini economici e sociali.
Alla Regione chiediamo quindi di realizzare un habitat più proficuo per il settore servizi: che cosa esiste di strutturato e organico nelle politiche regionali al riguardo, nonostante da anni sia quello più in crescita?
Riteniamo si debba finalmente attuare un tavolo concertativo, un osservatorio che unifichi l‘analisi, il confronto, l‘individuazione e la messa in opera di strategie specifiche, lo studio dei relativi mercati, la verifica e il controllo delle condizioni di competitività, attivando i più opportuni strumenti, oggi inesistenti: nei piani programmatici si potrebbe prevedere e sostenere la costituzione di una conferenza periodica del settore, come luogo di verifica fra gli operatori e uno di quei raccordi interassessoriali previsti, auspicati, ma non realizzati.
Dal punto di vista interno, dato che le associazioni di settore devono rappresentare al meglio gli interessi specifici delle imprese, è allora contraddittorio pensare di alleggerire gli strumenti e le sedi della rappresentanza verticale, a meno di non voler indebolirsi di più e prima: si confermano infatti le associazioni, ma c ‘ è chi pensa di rendere volontaria l‘adesione/contribuzione alle stesse, di allentare il rapporto diretto con grossa parte del loro corpo sociale, per esempio quella emiliano-romagnola, in sostanza sminuendo perciò il loro peso specifico, il contrario di ciò che è sempre più necessario.
Nonostante i preoccupanti rallentamenti o, per altro verso, le devastanti accelerazioni in atto, leggasi "devolution", nonostante una legge finanziaria da sostanziale genocidio degli Enti locali e dello stato sociale di comunità, con pesantissimi effetti negativi per tutti noi, il federalismo si sta definendo e normando nelle varie specificità; a livello di Lega regionale si correrebbe invece il rischio di svuotare così la legittimità elettiva, la reale autonomia e la diretta capacità d‘intervento settoriale: altro è la necessità di un maggior coordinamento progettuale/operativo delle strutture verticali e territoriali, delle une con le altre.
Sento spesso affermare il bisogno prioritario di semplificare: che cosa significa? Credo invece che l‘esigenza vera sia far tesoro della complessità, della ricchezza di competenze specialistiche che in particolare nella nostra regione abbiamo e governarle: non ridurre, né gerarchicizzare formalmente, ma gestire, fare interagire, coordinare nel concreto delle necessità e opportunità.
E’ anche un problema di costi? E cosa si pensa di risparmiare? Conosciamo i conti e la loro suddivisione: più leggera di così credo sia difficile immaginare anche un‘eventuale organizzazione per settori regionali; si può invece cercare di ottimizzare meglio e in comune qualche funzione, ma si può farlo anche stante l’attuale situazione; necessità che come associazioni, fra l‘altro, da qualche anno abbiamo più volte sollecitato; mi riferisco alle funzioni di politiche del lavoro, di ricerca- analisi- statistica, d‘interfaccia e relazioni trasversali comuni, intersettoriali/territoriali, con la Regione (normative, progettuali, di sostegno finanziario e nei servizi dedicati): questo vale anche verso le sempre più ampie funzioni della CEE.
Dobbiamo porci l‘obiettivo davvero irrimandabile di elevare nel merito e nel metodo dei processi concreti il livello di confronto con l‘Ente Regione, spronandolo per ciò che ci compete ad un aumento di qualità complessiva della risposta ai bisogni, aldilà delle relazioni individuali più o meno buone con i singoli Assessorati.
Ci sono aspetti politico-normativi che bisognerà seguire congiuntamente, con sempre maggiore attenzione e capacità, fra i vari livelli associativi: mi riferisco in particolare all’ipotesi di legge regionale sull‘unificazione degli appalti di lavori pubblici e servizi, che presenta opportunità di qualificazione degli stessi, ma anche forti rischi di sovrapposizioni, duplicazioni e contraddittorietà di norme che potrebbero complicare la vita alle imprese, cui serve invece il più possibile chiarezza di percorso, con l’indispensabile raccordo, in questa complessa rimappatura istituzionale, fra il livello legislativo regionale e quelli nazionale ed europeo; mi riferisco alle privatizzazioni nei vari settori, che si stanno delineando purtroppo sempre più fittizie, vedi le proposte di leggi regionali sull’acqua e sui rifiuti, che perpetuano sostanzialmente gli attuali monopoli nella gestione stessa dei servizi, tramite periodi transitori "tendenti all’infinito" degli affidamenti diretti, che dovrebbero invece essere limitati, procedendo in tempi ragionevoli verso una reale messa in competizione, tramite assegnazioni con procedure di evidenza pubblica.
Tornando agli aspetti organizzativi, ma che come dicevo sono anche di contenuto, la strada più utile è invece quella di mantenere masse critiche associative nazionali, regionali e distrettuali adeguate, a seconda dei reali e differenziati bisogni, non così facilmente semplificabili in un unico modello, che collaborino con la Lega regionale, in stretto coordinamento con le Leghe territoriali; casomai accentuando ancor di più al loro interno la specifica rappresentatività, decisionalità, caratterizzazione e visibilità dei comparti, delle loro commissioni e segreterie: ad esempio penso ai casi estremi, per differenze strutturali, dei trasporti e delle sociali.
Questo è l‘assunto fondamentale da confermare e rafforzare alla nostra Assemblea nazionale: questo il ganglio forte, cruciale, del patto fra il gruppo dirigente nazionale, gli associati e i responsabili dei vari comparti regionali e territoriali; ponendo così le premesse per effettuare al meglio, col massimo potenziale, la rappresentanza specifica verticale, ma rafforzando e supportando al contempo la funzione di sintesi generale, anche con continuità e sistematicità di confronto diretto fra la presidenza e le segreterie nazionali.
Le sociali, che più sono portatrici di questa esigenza, in ragione delle loro specifiche peculiarità, nel dibattito interno che deve continuare e approfondirsi ancora, innanzitutto nel comparto stesso, hanno evidenziato la necessità di avviare un processo di autonomia, da loro stesse ritenuto però non ancora del tutto fattibile; l’Associazione servizi è sempre qui, continua ad offrire loro una casa comune, in ragione delle tante utilità e omogeneità che permangono, in attesa di condizioni necessarie che oggi non ci sono: credibilità per la conduzione del processo, una squadra più strutturata, una situazione organizzativa generale meno incerta, coordinate più definite entro cui potersi regolare e muovere meglio, in cui possa proficuamente inserirsi un posizionamento indipendente davvero fattibile.
La nostra offerta in campo socio-sanitario, autonoma o parte del settore servizi che sia, ritengo debba comunque ribadire con forza e convinzione la sua collocazione nell’area e nella dimensione dell’impresa cooperativa di lavoro, anche e a maggior ragione rispetto ai cambiamenti normativi in atto sull’impresa sociale, proprio per e con le caratteristiche strutturali storicamente determinatesi, irrinunciabili per la salvaguardia e lo sviluppo di uno spazio proprio nei servizi sociali alle persone.
Questa valenza specifica deve poi poter trovare, assieme ad altri settori e competenze tematiche (l’abitazione, il consumo, l ‘ assicurazione, il lavoro, la previdenza) processi unitari e flessibili di coordinamento, ancora una volta non organizzativi in senso stretto, nella comune matrice della Lega, per definire assieme le più complessive strategie politiche e di mercato: siamo in forte ritardo su questo, che dovrà essere uno degli impegni prioritari dei gruppi dirigenti ad ogni livello.
Infine, più ancora degli altri questo comparto, che non ha davvero una soddisfacente condizione direzionale, deve definire e realizzare con decisione, in tempi brevi, una reale conduzione nazionale a rete, ottimizzando su scala più vasta le competenze territoriali, mettendo ad uso e utilità comune le singole capacità decentrate.
In Emilia Romagna il livello di autonomia è già molto alto, ma si può sempre far di più, se individuiamo proposte utili; sicuramente, per partire dalle cose più semplici, evidenti e comuni, faremmo meglio tutti a chiamarci con nome e cognome, riconoscibili così in ogni modalità comunicativa e operativa, oltre l‘appartenenza formale a Legacoop e all‘Associazione servizi, che va comunque richiamata con i marchi a latere: Cooperative Sociali quindi, Coop. Trasporti, ecc.
Queste specificità vanno però coordinate nella casa comune: quindi il direttivo, con i responsabili territoriali e le due cooperative nominate da ogni comparto, organismo periodico di verifica intermedia fra l’Assemblea annuale dei Presidenti e la segreteria, che è la sede congiunta di analisi, verifica e implementazione generale dei responsabili regionali dei comparti stessi, referenti della presidenza per la realizzazione dei programmi associativi; come già detto i comparti restano i luoghi di elaborazione specifica e in proposito proponiamo una sostanziale riconferma delle attuali commissioni, già vagliate con i responsabili territoriali, come da elenchi acclusi in carpetta; assieme a quelli dei delegati all’Assemblea congressuale nazionale di gennaio, ricavati da un confronto con i responsabili territoriali sulla base dei criteri numerici generali temperati con l ‘opportunità che fosse rappresentato ogni comparto in ogni territorio.
E’ chiaro che l’organizzazione qui riproposta verrà conformata a qualsiasi eventuale diversa soluzione che scaturirà dall’apposito percorso deliberato dal recente Congresso nazionale della Lega, che non prevede cambiamenti a prescindere.
In sintesi, sull’attività generale: aldilà della tutela e dello sviluppo dei comparti tradizionali, molto si gioca sulla capacità di elaborare, costruire e proporre reale innovazione e qualificazione dei servizi, dalla gestione integrata a quella globale, nei e fra i comparti, con gli altri settori: quanti sono in grado di fare da soli?
Nemmeno le grandi coop. nazionali possono essere autarchiche in queste partite complesse, perché non riusciranno e/o non gli converrà riprodurre al loro interno tutte le necessarie, potenzialmente infinite specializzazioni e presenze territoriali occorrenti a dare una risposta completa al mercato: avranno bisogno di alleati e partner commerciali diffusi, radicati e/o in possesso di particolari conoscenze.
Il problema preliminare del ragionamento, allora, è fare strategia di gruppo, di movimento, di sistema, nominatela come vi pare, ma facciamola, mettendo da parte assurdi e perdenti egoismi, ridicoli particolarismi e anacronistici steccati, cieca e irresponsabile difesa dei singoli interessi.
Senza questo salto comportamentale in avanti non si riuscirà nemmeno ad impostare soluzioni, aggregazioni, progetti che riescano in qualche modo ad abbozzare una strategia, contrastando la sempre maggior entrata in campo dei grandi competitori organizzati, nazionali e non, sui terreni dove si gioca davvero lo sviluppo.
Mi pare che gli unici passi avanti nuovi li stiamo facendo nell’ambito del trasporto pubblico locale, certo non senza problemi, in primis di confusione del quadro normativo, ma con illuminata e sinergica consapevolezza di fondo delle risorse unitarie cooperative, imprenditoriali e associative interessate, a cui voglio fare i complimenti per il virtuoso esempio che rappresentano sulla necessità di effettuare l‘indispensabile salto di mentalità, nel riuscire a vedere oltre se stessi, oltre al proprio immediato e spesso miope tornaconto " particulare".
Si è aperto un confronto regionale anche sui servizi globali, partendo dalla novità e opportunità rappresentate dagli importanti processi di esternalizzazione che si sono avviati, ma è solo un inizio, la strada è lunga e difficile, nella grave consapevolezza di essere già in notevole ritardo: le esperienze più rilevanti vengono dal comparto delle pulizie, dalle sociali, delle culturali e dalla ristorazione, per quanto riguarda la gestione di strutture di servizio, immobili pubblici e privati, ma ancora a macchia di leopardo, senza una vera strategia complessiva e d‘assieme, nonostante il convinto, notevole e meritorio impegno di analisi, progetto e aggregazione del CNS.
Stiamo inoltre lavorando per interazioni e coordinamenti maggiori anche con la cooperazione dei servizi di regioni limitrofe, in particolare ad est, convinti che solo processi unitari possano affrontare in modo adeguato le opportunità comuni di sviluppo, interregionali, nazionali ed internazionali, perseguendo assieme le indispensabili soluzioni sui nodi strutturali che stanno alla base della loro fattibilità.
La movimentazione merci, Prampolini in testa, sta provando a rafforzare una coscienza e una visibilità d ‘ insieme, che deve essere innanzitutto interna, anche attraverso lo strumento di assemblaggio dei dati e delle esperienze che è il rapporto sociale: a campione, ma anche, sempre di più, in modo complessivo.
Continuerò personalmente a registrare la configurazione, sempre per campione significativo, del comparto pulizie, completo per la ristorazione; continuerò a farlo comunque, avendone la responsabilità diretta, pur cosciente dell’intiepidimento degli interessati; è davvero difficile mantenerne vive l ‘ attenzione e la convinzione: bisognerebbe riuscire ad aumentarne il valore aggiunto, casomai certificandolo e dandogli un peso in sede di appalto, inserendone quindi la previsione nella nuova legge unificata; in attesa di farcelo imporre o di trarne un vantaggio concreto, come spesso deve succedere per adottare finalmente le buone pratiche, siccome lo abbiamo già strutturato, certo male non fa mantenerlo e se possibile innovarlo e svilupparlo.
Stessa cosa fa Armuzzi per i comparti del trasporto merci e persone.
Le sociali hanno rinunciato a farlo, preferendo percorrere prima il processo dal basso, cioè cercando di completare il panorama dei rapporti territoriali, la cui sintesi sarà infine quello regionale: personalmente credo che una cosa non escluda l ‘ altra, che ci sia comunque un peso specifico e una valenza diversi, che non dovrebbe essere solo una somma; inoltre mi dispiace che proprio questo comparto, in teoria il più sensibile, manchi all’appello, ma tantè, anche questa è autonomia e sono cose che è inutile imporre; dopo il faticoso, ma qualificato, nobile sforzo di definizione e stesura generale iniziale, non è più possibile, mancandone un pezzo, realizzare una sintesi unitaria: credo quindi più realistico effettuarlo laddove possibile.
Poche righe solo, certo insufficienti ma dovute, sul reparto fiscale, da poco rinforzato, che il bilancio lo fa ogni giorno nel rapporto con le coop, da cui riceve direttamente il ritorno di consenso per la natura concreta del servizio e, crediamo, per la sua qualità, contribuendo molto a cementare il rapporto associativo.
Abbiamo avviato e sviluppato l‘attività di coordinamento sulla gestione dei beni culturali, di cui trovate una nota in carpetta, ma occorre una formalizzazione di responsabilità, per poter procedere al meglio e, ancora una volta, con la necessaria legittimazione per realizzare nuovi progetti.
Più in particolare, per i singoli comparti, si rimanda alle relazioni specifiche, che leggerò dopo a nome dei relativi responsabili, cosa più che mai necessaria in occasione del punto triennale sulla situazione e sulle prospettive.
Centrale nella nostra missione, cuore del rapporto sociale, è il tema del lavoro, declinato sulle particolarità di ogni comparto: dovremmo davvero porci l‘obiettivo di un apporto qualificante su come le coop. impostano con i soci le modalità operativo/decisionali lavorative.
In questa specificità nella cooperazione di lavoro si può determinare il livello reale di partecipazione alla vita dell’impresa, ben aldilà dei normali e formali momenti societari, seppur imprescindibili: l‘ho già detto in altre occasioni, estremizzando volutamente, consapevole delle differenze dimensionali e tipologiche, che non si può essere normali dipendenti ogni giorno lavorativo e padroni della coop. solo in occasione dell’Assemblea generale.
E’ rispetto alla qualificazione del rapporto di lavoro che si potrebbe fra l‘altro coniugare con parametri di risultato il rinnovato strumento del ristorno, per accrescere in un circolo virtuoso il reale attaccamento e interesse dei soci all’impresa coop., che può tradursi in concreto valore aggiunto: un socio più coinvolto e più convinto lavora meglio e rende di più, accrescendo il vantaggio complessivo, anche suo, coniugando così il binomio solo in apparenza contraddittorio di etica social/lavoristica e di competitività nel mercato.
E’ un tema delicato e difficile, lo so bene, perché impatta diritto sulle spesso ristrette compatibilità, sugli scarsi margini di manovra nei mercati di riferimento, essendo già molto la piena regolarità salariale/normativa in certi comparti, ma anche e soprattutto, credo, con il nodo cruciale della reale gestione del potere.
Qualcosa di più in proposito, però, dobbiamo davvero farlo, oltre ad assicurare le migliori condizioni contrattuali e di sicurezza possibili, realizzando così in buona parte lo scambio mutualistico: certo sarebbe più facile se tutti i concorrenti, anche cooperativi, avessero almeno la stessa base minima di costi.
Su questo terreno attendiamo dalla Regione forti azioni direttive di moralizzazione, di coordinamento e di governo dei processi attivi per l‘emersione dal lavoro irregolare e per la previsione generalizzata dei costi contrattuali nei pubblici appalti; l’attivazione delle azioni tese a regolare le nuove forme di flessibilità; l’implementazione delle politiche di sostegno, formazione, reinserimento, per contrastare la disoccupazione a rischio di cronicità, come la popolazione anziana espulsa dai processi lavorativi e quella svantaggiata, supportando quelle forme, come le sociali di tipo B, che tanto hanno contribuito a limitare il problema; idem per gli immigrati, innanzitutto con programmi sulle condizioni di accoglienza e di permanenza, in rapporto al costante monitoraggio dei reali bisogni dei territori e delle imprese, utilizzando a tal scopo anche le nuove possibilità date dalla riforma del collocamento.
Sulla riforma del mercato del lavoro, molte innovazioni introdotte dal decreto legge 848 dimostrano quanto fosse giusto come settore servizi avere sollecitato le critiche espresse poi in merito da Legacoop; l‘approdo attuale comunque, non ancora definitivo, è una flessibilizzazione a volte oltre le righe delle forme di rapporto possibili, un eccessivo allentamento dei vincoli generali di riferimento che, sommati al tanto irregolare già presente, crea ulteriori problemi a coloro che regolari sono, con tutte le rigidità e i costi conseguenti, favorendo ancor di più la concorrenza: bisognerà riflettere più approfonditamente su questo scenario, che ci vede di certo indeboliti nella capacità competitiva, che ci indurrà ad inevitabili adattamenti, penso ad esempio a un nostro modo di intendere e gestire il lavoro autonomo, che ci deve necessariamente riguardare nell’ambito delle compatibilità di legge, ma non riducendoci ad un passivo adeguamento al corrente andazzo al ribasso nella qualità e nei diritti dei rapporti di lavoro; ci preoccupa molto la possibile lettura minimalista dei costi contrattuali introdotta dall’emendamento alla legge 142, che può favorire altri tipi di coop., auspicando che intervenga presto una chiara interpretazione ministeriale nel senso del trattamento economico complessivo; ci sono soglie sotto le quali non possiamo scendere, pena la totale parificazione con chi ha scopi fondanti diversi, la perdita della ragione più profonda e specifica dello scambio mutualistico nella cooperazione di lavoro, cioè la creazione dello stesso alle migliori condizioni: dovremmo dare il nostro apporto costruttivo al riguardo, anche politico, contribuendo all‘obiettivo generale della ridefinizione di una società e di un mercato più flessibili, ma comunque regolati, trovando il giusto equilibrio fra queste due necessità, che credo esiziale per la cooperazione.
Su questa tematica andrebbe pensato, rilanciato e confrontato con i vari attori sociali un grande patto, una "Carta del lavoro cooperativo", che alzi il tiro e il livello qualitativo di questo specifico rapporto associativo.
Credo sarebbe cosa buona e giusta che la nostra massima risorsa uscente, che come ben sappiamo non si ricandida e a cui auguriamo comunque ottime cose, potesse impegnarsi a questi fini, poiché ne sa e gli piace, nella riorganizzazione in atto del gruppo nazionale di Legacoop che, innanzitutto con un più strutturato metodo di lavoro di squadra, deve essere significativa, chiarendo e rinforzando innanzitutto proprio la funzione di politiche del lavoro, prioritaria non solo per noi, ma per tutta l‘area tematica relativa, che anche a partire da questo deve trovare più forti legami di interazione tematica, progettuale, di analisi, coordinandosi meglio a questi fini.
Così come un patto va stipulato fra i livelli dell’organizzazione, nazionali, regionali, territoriali, definendo con chiarezza ruoli, responsabilità, chi fa che cosa; agendo semplicemente nell’interesse delle associate che, nelle funzioni di rappresentanza, può ottenere il massimo nel giusto equilibrio e coordinamento fra orizzontalità e verticalità: ad ogni livello Legacoop rappresenta gli interessi politici generali, le associazioni quelli settoriali; poi ci sono gli uomini, si sa, che possono assolvere meglio o peggio questi compiti, determinandone o meno la reale efficacia, prima e aldilà di qualsiasi tipo di ristrutturazione organizzativa.
Ho detto chiaramente come vedo più utili per le coop. le fondamenta del patto associativo; l’ho fatto dicendo quel che penso e di cui sono in buona fede convinto; altri possono non pensarla come me, potrebbero essere i più e potrebbero avere ragione; se prevarrà la loro visione delle cose mi adeguerò e cercherò in quelle condizioni di perseguire comunque al meglio l‘unico scopo che tutti noi dobbiamo avere, cioè l’interesse delle coop.; quattro anni fa, quando ho continuato in questa nuova veste la davvero stimolante esperienza della cooperazione dei servizi, ho detto che mi ritenevo un uomo del movimento: non ho cambiato parere, né sentire: affinché la funzione di rappresentanza sia utile, bisogna che definiamo cosa bisogna fare, chi deve fare una cosa e chi l’altra, cosa e come occorre agire assieme; facciamolo prendendoci ognuno la responsabilità e il diritto di dire chiaramente, apertamente, senza secondi fini, ma in modo franco, diretto, davvero cooperativo come la pensiamo; quindi decidiamo in modo democratico e procediamo uniti e compatti lungo la strada scelta.
Sono queste le premesse indispensabili perché qualsiasi gruppo dirigente e qualsiasi livello dell’organizzazione, qualunque essa sia, possano funzionare e cercare di raggiungere l‘unico obiettivo, ripeto, che ci deve interessare davvero: lo sviluppo imprenditoriale e, credo ancora, sociale delle cooperative.